Correre all’alba è un’abitudine che dovremmo avete tutti: quando la città dorme chi "esce a correre" può godere di una rara tranquillità. Correre all’alba è un modo per tornare a contatto con la natura.
Ma cosa mangiare prima di andare a correre?
La preoccupazione di avere poche energie se si affronta un allenamento a digiuno porta ad un comportamento spesso scorretto. Come d’abitudine a schiarire tutti i dubbi e a darci una risposta definitiva è Marcello Vendramin, direttore scientifico di Freelifenergy che lo fa subito con una domanda:
“Posso subito affermare che è deleterio sia per il fisico che per la prestazione in corsa, effettuare una colazione completa e ricca di carboidrati e proteine, perché il processo digestivo troppo impegnativo determinerebbe un importante afflusso di sangue agli organi dell’apparato gastrointestinale riducendone la disponibilità per l’ossigenazione dei muscoli. In queste condizioni correre diventa forse ancora più difficile e faticoso che non a digiuno”.
Quindi cosa fare per correre all’alba ?
“La strategia migliore si ottiene fornendo all’organismo una quota di carboidrati a rapido assorbimento, così da fornire sin dalle prime fasi, almeno parte dell’energia necessaria a svolgere l’attività fisica prevista. Sarebbe ottimale riuscire a svegliarsi almeno 30 o 40 minuti prima dell’attività ed assumere carboidrati di facile assimilazione come: frutta disidratata, barrette energetiche di qualità facilmente digeribili, malto-destrine naturali ad elevata destrosio equivalenza. Le barrette Energetika sono dunque ottimali in tal senso”.
Se invece la nostra corsa all’alba sarà quasi immediata al risveglio?
“In alternativa per coloro che iniziano a correre al risveglio consigliamo di assumere immediatamente prima dell’attività preparati liquidi a base di zuccheri semplici a rapidissimo assorbimento ed utilizzo, in modo che siano disponibili per il metabolismo energetico sin da subito. Freelifenergy in questo caso mette a disposizione il Superenergy in fiale”
Quindi la risposta al primo quesito è ‘no’. Ma sulla base di quale spiegazione scientifica Marcello Vendramin afferma quanto sopra detto?
“E’ necessario fornire dei dati fondamentali per poter poi comprendere al meglio quanto segue. In primis, definiamo quantitativamente la struttura fisica dell’atleta “medio”, che andremo ad utilizzare come riferimento, per tutte le valutazioni e le successive conclusioni che trarremo.
Utilizzando come riferimento i dati rilevati dai ricercatori nel seguente studio: ( Reference values for body composition and anthropometric measurements in athletes ) 2014 May 15;9(5):e97846. doi: 10.1371/journal.pone. Prendiamo in esame lo sportivo che dai grafici rappresenta la “media” tra quelli che praticano atletica: maschio; del peso di 74 Kg; alto 180 cm; con una percentuale di massa grassa pari all’11%. Sottraendo dal peso dell’atleta il peso degli organi (-25%); della struttura ossea (-20%) e della massa grassa (-11%), otteniamo il peso della massa muscolare striata (la cui prerogativa è il movimento volontario) pari a circa 33 Kg. Ne deduciamo con buona approssimazione, che la massa muscolare degli arti inferiori, direttamente interessati nell’attività della corsa, è valutabile in circa 20 Kg.
In secondo luogo prendiamo confidenza con il termine “Glicogeno”: Il glicogeno è un polimero del glucosio (il carburante utilizzato dalle cellule) simile strutturalmente all’amido che si trova negli alimenti, se non per una più elevata presenza di acqua. Nell‘uomo funge da riserva energetica glucidica, e da 1 g di glicogeno possiamo trarre 1.1 Kcal/g di energia per produrre movimento. Esso viene depositato prevalentemente nel fegato e nei muscoli scheletrici. Nel fegato siamo in grado di stoccare da 80 a 120g di glicogeno allo scopo di mantenere stabili e costanti i livelli di glucosio ematico, anche nei momenti di digiuno. Infatti il glicogeno epatico viene trasformato in glucosio ed immesso nel flusso sanguigno, cosi da poter essere utilizzato dai vari tessuti del corpo al bisogno.
In relazione al livello di allenamento, nei muscoli striati siamo in grado di stoccare da 12 a 16g di glicogeno per ogni Kg di muscolo, ma tale scorta non può essere mobilizzata e resa disponibile per altri tessuti o distretti del corpo, infatti viene utilizzata unicamente dalle cellule muscolari in cui è conservata. Possiamo concludere che nei muscoli del nostro atleta “medio” avremo una riserva energetica di glicogeno pari a 240 - 320g nella migliore delle ipotesi.
E’ importante ricordare che l’organismo in caso di attività aerobica (a bassa intensità max 120-140 bpm) è in grado di produrre energia anche dalla degradazione dei grassi, riuscendo a trarne in relazione all’abitudine del soggetto a tale tipologia di attività, dal 5% al 20% dell’ammontare energetico necessario.
Infine impariamo a calcolare il dispendio energetico di un atleta in corsa: i ricercatori sono ormai tutti concordi nel determinare tale consumo energetico utilizzando la seguente semplicissima formula: Consumo energetico in Kcal = K x P x D
Dove K è una costante variabile in relazione al livello di allenamento dell’atleta ( 0.8 per l’agonista – 1.2 per il principiante ); P è il peso dell’atleta in Kg; D è la distanza percorsa in Km. Possiamo determinare che l’atleta in esame avrebbe un consumo energetico in corsa pari a:
0.8 Kcal/Kg x 74 Kg x 1 Km = 59.2 Kcal/Km nel caso di un agonista allenato
1.2 Kcal/Kg x 74 Kg x 1 Km = 88.8 Kcal/Km nel caso di un principiante
A questo punto possiamo entrare nel vivo dell’argomento e valutare oggettivamente se ha senso, o meno, prevedere delle sedute di allenamento mattutino a digiuno. I ricercatori hanno dimostrato che il glicogeno stoccato nel fegato, durante la notte, viene utilizzato dal corpo per mantenere stabili i livelli di glucosio nel sangue, nonostante il digiuno durante le ore di sonno. Infatti al risveglio il livello di glicogeno epatico scende da 80 – 120g a soli 20g che solitamente vengono reintegrati in conseguenza alla colazione.
Al risveglio l’organismo del nostro atleta si ritrova a disposizione circa 340g di glicogeno totale, sommando i 20g di glicogeno nel fegato e nella migliore delle ipotesi, 320g nei muscoli degli arti inferiori. Tale riserva energetica gli consentirebbe di produrre (secondo la semplice formula 340g x 1.1 Kcal/g) un massimo di 374 Kcal. Volendo continuare ad essere ottimisti possiamo aggiungere un ulteriore 20% di energia prodotta tramite il metabolismo aerobico dei grassi (per cui 374 + 20% ) ottenendo 448 Kcal nella migliore delle ipotesi. Con le 448 Kcal disponibili, il nostro atleta, teoricamente potrebbe percorrere senza intaccare i propri tessuti e provocare catabolismo muscolare da 5 a 7.5 Km. Se invece tenessimo conto dei parametri più restrittivi ( 240g +20g = 260g x 1.1 Kcal/g = 286 Kcal + 5% = 300 Kcal), riuscirebbe a percorre sempre teoricamente solo da 3.4 a 5 Km.
Utilizzo il termine teoricamente, perché i ricercatori hanno dimostrato che il metabolismo dei grassi durante l’attività aerobica, necessita di tempo per attivarsi, solitamente dai 15’ ai 20’ circa. Tenendo conto di ciò non possiamo fare a meno di renderci conto che il nostro atleta non potrebbe nemmeno contare sull’ausilio del metabolismo dei grassi per ottenere energia nei primi Km di corsa. Inoltre dobbiamo tenere conto del fatto, che il nostro corpo non è assolutamente disposto a depauperare la propria riserva di energia, il glicogeno, se non in caso di estrema necessità.
Il cervello non se lo può permettere, tenete conto che in condizione di riposo, consuma il 20% del fabbisogno energetico di tutto il corpo, pur pesando solamente 1.5 Kg di peso.
Infatti, studi internazionali ci dicono che in caso di carenza di glucosio nel sangue, cosa ovvia dopo pochi minuti di corsa effettuata al risveglio a digiuno, si attiva già nelle prime fasi dell‘esercizio il processo di ossidazione degli aminoacidi a scopo energetico. Il meccanismo si intensifica con l‘intensificarsi dello sforzo e utilizza i muscoli stessi come carburante, determinando catabolismo e danno al tessuto muscolare. Tanto più le riserve di glucosio e grassi saranno ridotte e tanto maggiore sarà l‘ossidazione dello scheletro carbonioso degli aminoacidi derivati dalle proteine dei muscoli.
Ovviamente in tali condizioni si determina: una scadente prestazione atletica; una maggiore percezione della fatica; un importante danno al tessuto muscolare e successivi tempi di recupero decisamente incrementati”.